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Primaria - BES
Com'è difficile imparare
01/01/2012 (FACOLTATIVA)

La presenza di un ritardo mentale, soprattutto quando è di tipo lieve e non è associato a patologie organiche che si manifestano a livello fisico, è una condizione difficile da diagnosticare, perché può essere facilmente confusa con altri disturbi. Solitamente la diagnosi viene effettuata a seguito della somministrazione di test specifici.
Difficile anche trovare una definizione univoca di ritardo mentale e, in genere, si fa riferimento alla descrizione proposta dall’ICD-10 e dal DSM IV. Secondo l’International Classification of Disease (ICD 10), il ritardo mentale rappresenta una condizione di interrotto o incompleto sviluppo psichico, caratterizzata soprattutto da compromissione delle abilità che si manifestano durante il periodo evolutivo e che contribuiscono al livello globale di intelligenza, cioè quelle cognitive, linguistiche, motorie, affettive e sociali.
Il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM IV) individua tre criteri necessari per stabilire la presenza di ritardo mentale: «Criterio A: Funzionamento intellettivo significativamente al di sotto della media: un Quoziente Intelletivo (QI) di circa 70 o inferiore ottenuto con un test di QI. Criterio B: Concomitanti deficit o compromissioni nel funzionamento adattivo attuale (cioè, la capacità del soggetto di adeguarsi agli standard propri della sua età e del suo ambiente culturale) in almeno due delle seguenti aree: comunicazione, cura della propria persona, vita in famiglia, capacità sociali/interpersonali, uso delle risorse della comunità, autodeterminazione, capacità di funzionamento scolastico, lavoro, tempo libero, salute e sicurezza. Criterio C: L’esordio è prima dei 18 anni di età».
Il ritardo mentale ha molte diverse etiologie e può essere visto come la via finale comune di vari processi patologici che agiscono sul funzionamento del sistema nervoso centrale (DSM IV). Esistono differenti livelli di gravità: lieve (QI tra 50 e 70), moderato (QI tra 35-40 e 50-55), grave (QI tra 20-25 e 35-40) e profondo (QI 20-25). Il deficit cognitivo tende a rimanere stabile nel tempo, ma è possibile incidere in maniera significativamente positiva sullo sviluppo individuale, con interventi tempestivi e integrati, che prevedono l’interazione attiva fra tutte le agenzie educative (scuola, famiglia, presidi sanitari).
Nel caso del ritardo lieve, è possibile, infatti, favorire una buona autonomia e indipendenza e anche in campo scolastico l’obiettivo è favorire il più possibile l’avvicinarsi al livello della classe. La sfida di queste situazioni è dunque trovare un giusto equilibrio tra il fornire cure e facilitazioni e sostenere e incoraggiare le capacità autonome. Oltre a offrire interventi di tipo didattico e per la riabilitazione cognitiva, la scuola rappresenta un’area centrale della vita di questi bambini, in cui sperimentare la socializzazione e vivere un’esperienza educativa positiva.
Attraverso le attività in classe, infatti, gli insegnanti possono aiutare i bambini a trovare degli strumenti per esprimere e comunicare le proprie emozioni e paure, svolgendo così un’azione di prevenzione rispetto al possibile sviluppo di disagio psicologico in futuro.
L’inclusione positiva, inoltre, permette anche ai compagni di confrontarsi con l’alterità e la differenza e di sviluppare una visione più complessa della realtà.
Difficile anche trovare una definizione univoca di ritardo mentale e, in genere, si fa riferimento alla descrizione proposta dall’ICD-10 e dal DSM IV. Secondo l’International Classification of Disease (ICD 10), il ritardo mentale rappresenta una condizione di interrotto o incompleto sviluppo psichico, caratterizzata soprattutto da compromissione delle abilità che si manifestano durante il periodo evolutivo e che contribuiscono al livello globale di intelligenza, cioè quelle cognitive, linguistiche, motorie, affettive e sociali.
Il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM IV) individua tre criteri necessari per stabilire la presenza di ritardo mentale: «Criterio A: Funzionamento intellettivo significativamente al di sotto della media: un Quoziente Intelletivo (QI) di circa 70 o inferiore ottenuto con un test di QI. Criterio B: Concomitanti deficit o compromissioni nel funzionamento adattivo attuale (cioè, la capacità del soggetto di adeguarsi agli standard propri della sua età e del suo ambiente culturale) in almeno due delle seguenti aree: comunicazione, cura della propria persona, vita in famiglia, capacità sociali/interpersonali, uso delle risorse della comunità, autodeterminazione, capacità di funzionamento scolastico, lavoro, tempo libero, salute e sicurezza. Criterio C: L’esordio è prima dei 18 anni di età».
Il ritardo mentale ha molte diverse etiologie e può essere visto come la via finale comune di vari processi patologici che agiscono sul funzionamento del sistema nervoso centrale (DSM IV). Esistono differenti livelli di gravità: lieve (QI tra 50 e 70), moderato (QI tra 35-40 e 50-55), grave (QI tra 20-25 e 35-40) e profondo (QI 20-25). Il deficit cognitivo tende a rimanere stabile nel tempo, ma è possibile incidere in maniera significativamente positiva sullo sviluppo individuale, con interventi tempestivi e integrati, che prevedono l’interazione attiva fra tutte le agenzie educative (scuola, famiglia, presidi sanitari).
Nel caso del ritardo lieve, è possibile, infatti, favorire una buona autonomia e indipendenza e anche in campo scolastico l’obiettivo è favorire il più possibile l’avvicinarsi al livello della classe. La sfida di queste situazioni è dunque trovare un giusto equilibrio tra il fornire cure e facilitazioni e sostenere e incoraggiare le capacità autonome. Oltre a offrire interventi di tipo didattico e per la riabilitazione cognitiva, la scuola rappresenta un’area centrale della vita di questi bambini, in cui sperimentare la socializzazione e vivere un’esperienza educativa positiva.
Attraverso le attività in classe, infatti, gli insegnanti possono aiutare i bambini a trovare degli strumenti per esprimere e comunicare le proprie emozioni e paure, svolgendo così un’azione di prevenzione rispetto al possibile sviluppo di disagio psicologico in futuro.
L’inclusione positiva, inoltre, permette anche ai compagni di confrontarsi con l’alterità e la differenza e di sviluppare una visione più complessa della realtà.
Maria Chiara Fiorin
Psicoterapeuta
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Da SIM, 4, 2013, p. 17