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18/10/2013
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Secondaria 2° grado - News mondo scuola
E se tornassimo ad imparare le poesie a memoria?
01/01/2012 (FACOLTATIVA)
Giusto a metà del Ponte della Libertà, il ponte che collega la terraferma a Venezia, si trova un piccolo slargo erboso sul quale sono collocati due storici cannoni. Sono lì a ricordare l'eroica resistenza della Repubblica di San Marco contro gli Austriaci durante i fatti del 1848. Ebbene, ogni volta che mi trovo a passarvi davanti non posso sottrarmi alla memoria di questi versi: "Sulle tue pagine scolpisci, o Storia - l'altrui nequizie e la sua gloria - e grida al mondo tre volte infame - chi vuol Venezia morta di fame". Sono i versi disperati di un poeta combattente (Arnaldo Fusinato) che vede spegnersi il sogno di indipendenza della sua gente, stremata dal "pan ci manca" e dall'infuriare del "morbo". Ed ogni volta non è solo l'algido ricordo di un evento storico, è anche un'emozione: come se quelle rime che vengono tutte da dentro avessero il potere di azzerare la distanza temporale con un passato ormai remoto. Magia della poesia, si dirà. Sì, ma soprattutto magia di una poesia fatta imparare a memoria tra banchi di legno e calamai di una vecchia scuola elementare, da un burbero maestro, in grazia d'antiquati canoni didattici.
E allora con la chiave "Imparare poesie memoria" entriamo in Google: a frugare nel meraviglioso disordine di notizie, informazioni, consigli, convincimenti, fantasie a questo tema dedicati. Un sondaggio, per cominciare. Sulla proposta del Ministro inglese dell'Istruzione, Michael Gove, di rilanciare nella scuola elementare la pratica di imparare poesie a memoria, la maggioranza degli intervistati si è dichiarata contraria: 58% contro il 42% di favorevoli ("Che bello imparare a menoria"). Eppure, l'impressione che si trae curiosando qui e là tra le carte di Google non sa affatto di rigetto, ben piuttosto di gelosa cura per tutto quanto ci si porti mnemonicamente dentro di rima e di verso. La poesia è musica, e "quando si riesce a ripeterla si entra nella sua musicalità fino in fondo" ("La poesia a memoria/genitori crescono"). La poesia è un talismano, per Italo Calvino, dal quale arriva il consiglio di "imparare delle poesie a memoria, molte poesie a memoria, da bambini, da giovani, e anche da vecchi"; anche perché "le poesie fanno compagnia quando uno se le ripete mentalmente" ("Un talismano per il duemila"). Per taluni, poi, la poesia imparata a memoria è un investimento, addirittura "un gruzzolo immenso per il futuro" ("Ora riscopriamo che imparare le poesie a memoria serve"); per altri, costituisce un ancoraggio generazionale all'identità culturale della comunità poiché "studiare poesie a memoria serve a costruire un deposito di beni culturali comuni a diverse generazioni, ad offrire cioè ai giovani la possibilità di condividere con i loro padri e con i loro nonni uno stesso linguaggio" (Soverato web"). Fino alla trasfigurazione fantastica, d'autore. L'incontro con la bella poesia come incontro con una bella persona. Da amare l'una come amare l'altra. Da trattenere mnemonicamente l'una come disperatamente trattenere l'altra: "E perché non imparare questi testi a memoria? In nome di che cosa non appropriarsi della letteratura? Forse perché non si fa più da tanto tempo? Vorremmo lasciare volar via pagine simili come foglie morte solo perché non è più stagione? È davvero auspicabile non trattenere simili incontri? Se questi testi fossero persone, se queste pagine eccezionali avessero volti, dimensioni, una voce, un sorriso, un profumo, non passeremmo il resto della vita a morderci le mani per averli lasciati scappare via?”(Daniel Pennac, "Diario di scuola").
Non è tutto, ma è già quanto basta per misurare la distanza da quella maggioranza che tira via dritto davanti ai cipressetti "alti e schietti" di Bolgheri o ai due obici puntati verso Mestre, sul ponte di laguna che porta a Venezia.
E allora con la chiave "Imparare poesie memoria" entriamo in Google: a frugare nel meraviglioso disordine di notizie, informazioni, consigli, convincimenti, fantasie a questo tema dedicati. Un sondaggio, per cominciare. Sulla proposta del Ministro inglese dell'Istruzione, Michael Gove, di rilanciare nella scuola elementare la pratica di imparare poesie a memoria, la maggioranza degli intervistati si è dichiarata contraria: 58% contro il 42% di favorevoli ("Che bello imparare a menoria"). Eppure, l'impressione che si trae curiosando qui e là tra le carte di Google non sa affatto di rigetto, ben piuttosto di gelosa cura per tutto quanto ci si porti mnemonicamente dentro di rima e di verso. La poesia è musica, e "quando si riesce a ripeterla si entra nella sua musicalità fino in fondo" ("La poesia a memoria/genitori crescono"). La poesia è un talismano, per Italo Calvino, dal quale arriva il consiglio di "imparare delle poesie a memoria, molte poesie a memoria, da bambini, da giovani, e anche da vecchi"; anche perché "le poesie fanno compagnia quando uno se le ripete mentalmente" ("Un talismano per il duemila"). Per taluni, poi, la poesia imparata a memoria è un investimento, addirittura "un gruzzolo immenso per il futuro" ("Ora riscopriamo che imparare le poesie a memoria serve"); per altri, costituisce un ancoraggio generazionale all'identità culturale della comunità poiché "studiare poesie a memoria serve a costruire un deposito di beni culturali comuni a diverse generazioni, ad offrire cioè ai giovani la possibilità di condividere con i loro padri e con i loro nonni uno stesso linguaggio" (Soverato web"). Fino alla trasfigurazione fantastica, d'autore. L'incontro con la bella poesia come incontro con una bella persona. Da amare l'una come amare l'altra. Da trattenere mnemonicamente l'una come disperatamente trattenere l'altra: "E perché non imparare questi testi a memoria? In nome di che cosa non appropriarsi della letteratura? Forse perché non si fa più da tanto tempo? Vorremmo lasciare volar via pagine simili come foglie morte solo perché non è più stagione? È davvero auspicabile non trattenere simili incontri? Se questi testi fossero persone, se queste pagine eccezionali avessero volti, dimensioni, una voce, un sorriso, un profumo, non passeremmo il resto della vita a morderci le mani per averli lasciati scappare via?”(Daniel Pennac, "Diario di scuola").
Non è tutto, ma è già quanto basta per misurare la distanza da quella maggioranza che tira via dritto davanti ai cipressetti "alti e schietti" di Bolgheri o ai due obici puntati verso Mestre, sul ponte di laguna che porta a Venezia.
Nicola Casaburi