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Le 100 proposte per la scuola di Confindustria
01/01/2012 (FACOLTATIVA)
La scuola lascia sempre e comunque un’eredità, nella vita delle
singole persone, delle famiglie, delle organizzazioni. Sono lasciti immateriali ma ben riconoscibili. Intrecciati tra loro raccontano la storia di un Paese, la sua qualità complessiva, le sue possibilità civili ed economiche, individuali e collettive.
I segni che lascia la scuola italiana di oggi sono al contempo il riflesso e la sagoma originale del nostro Paese, perché la scuola plasma una comunità e al tempo stesso ne è fortemente condizionata. Ciò che appare delle nostre istituzioni educative è un insieme di non facile lettura, un disegno un po’ frutto del caso, con macchie di colore, schizzi innovativi ed evidenti segni di arcaicità.
Forse non piacerà, ma la scuola siamo noi italiani, né più, né meno. Nel viaggio in Italia che Confindustria compie da anni con la sua rete di Associazioni, di imprenditori, esperti, affezionati collaboratori, insegnanti, presidi, giovani, abbiamo visto tanta stanchezza e disincanto, negli studenti come negli operatori.
Abbiamo ascoltato un’equivalente voglia e impegno a cambiare.
Si conducono molti esperimenti, cantieri con prove ed errori, nella speranza di innovare in meglio e per dare un significato al proprio lavoro. Ci sono nelle categorie professionali della scuola grandi valori e disponibilità, qualità e modernità. Questi convivono con gravi inadeguatezze, delusioni e demotivazioni.
Gli studenti e gli operatori condividono spazi e tempi della scuola. Hanno finito per maturare un rapporto fondato troppo spesso sulla routine, la noia per un modello vecchio e che impone un ruolo passivo a entrambi i lati della cattedra.
C’è molto entusiasmo nei tanti casi di volontariato di successo, retti ai limiti del sacrificio individuale. Si opera in scuole vecchie e pericolose. Tutto è mescolato, trattato, considerato e retribuito nello stesso modo, in un ambiguo egualitarismo che ha alimentato molta mediocrità.
Un sistema dominato dal caso che ti entusiasma una volta con un educatore straordinario, ti punisce un’altra con un insegnante del tutto inadeguato. La scuola è oggi un’istituzione delle differenze, il paradigma della lotteria che il cittadino italiano gioca spesso con il mondo pubblico, scuola e sanità in primis.
Il sistema di istruzione in Italia non è più la leva perequativa che livella le differenze e mobilita le migliori risorse. Al contrario è diventato motore di divaricazione delle opportunità. Chi ha di più alla partenza, molto spesso termina il proprio percorso educativo con ancora più patrimonio. Chi aveva meno, aumenta il proprio distacco dagli altri.
Giocarsi ai dadi il proprio destino scolastico è inaccettabile socialmente, nonché antieconomico. L’esito del proprio percorso di studi non può essere determinato in partenza dal migliore capitale culturale famigliare.
Abbiamo in dotazione un sistema d’istruzione cresciuto lungo un percorso fatto di mille frammenti di riforma dall’alto e di spinte all’autoriforma dal basso. Occorre ridare forma a questa strana chimera istituzionale. Il nostro vuole essere un contributo per cucire in una visione di respiro ampio tante pezze di diversa foggia e colore. Si percepisce viaggiando dentro il mondo dell’istruzione come questa sia oggi un’assoluta necessità. Nelle aule e alle porte della scuola quest’attesa si vive anche con rabbia, ma sempre con grande disponibilità a innovare. La seconda inerzia da vincere è che è netta la sensazione che un’istituzione generatrice dei necessari mutamenti strutturali della società contemporanea, sia stata per troppo tempo ai margini dell’interesse sostanziale della politica. Cucire finalmente un abito alla scuola e vincere le inerzie e gli arcaismi dei tanti conservatori con una proposta innovativa e qualificante, sono gli obiettivi cui il sistema Confindustria vuole contribuire.
Con la “Buona scuola” il Governo ha presentato dopo molti anni una proposta che ha molti contenuti innovativi. È un’appassionante base di discussione. In questo percorso di cambiamento che il mondo dell’educazione si accinge a cominciare, la voce delle imprese deve essere ascoltata.

I segni che lascia la scuola italiana di oggi sono al contempo il riflesso e la sagoma originale del nostro Paese, perché la scuola plasma una comunità e al tempo stesso ne è fortemente condizionata. Ciò che appare delle nostre istituzioni educative è un insieme di non facile lettura, un disegno un po’ frutto del caso, con macchie di colore, schizzi innovativi ed evidenti segni di arcaicità.
Forse non piacerà, ma la scuola siamo noi italiani, né più, né meno. Nel viaggio in Italia che Confindustria compie da anni con la sua rete di Associazioni, di imprenditori, esperti, affezionati collaboratori, insegnanti, presidi, giovani, abbiamo visto tanta stanchezza e disincanto, negli studenti come negli operatori.
Abbiamo ascoltato un’equivalente voglia e impegno a cambiare.
Si conducono molti esperimenti, cantieri con prove ed errori, nella speranza di innovare in meglio e per dare un significato al proprio lavoro. Ci sono nelle categorie professionali della scuola grandi valori e disponibilità, qualità e modernità. Questi convivono con gravi inadeguatezze, delusioni e demotivazioni.
Gli studenti e gli operatori condividono spazi e tempi della scuola. Hanno finito per maturare un rapporto fondato troppo spesso sulla routine, la noia per un modello vecchio e che impone un ruolo passivo a entrambi i lati della cattedra.
C’è molto entusiasmo nei tanti casi di volontariato di successo, retti ai limiti del sacrificio individuale. Si opera in scuole vecchie e pericolose. Tutto è mescolato, trattato, considerato e retribuito nello stesso modo, in un ambiguo egualitarismo che ha alimentato molta mediocrità.
Un sistema dominato dal caso che ti entusiasma una volta con un educatore straordinario, ti punisce un’altra con un insegnante del tutto inadeguato. La scuola è oggi un’istituzione delle differenze, il paradigma della lotteria che il cittadino italiano gioca spesso con il mondo pubblico, scuola e sanità in primis.
Il sistema di istruzione in Italia non è più la leva perequativa che livella le differenze e mobilita le migliori risorse. Al contrario è diventato motore di divaricazione delle opportunità. Chi ha di più alla partenza, molto spesso termina il proprio percorso educativo con ancora più patrimonio. Chi aveva meno, aumenta il proprio distacco dagli altri.
Giocarsi ai dadi il proprio destino scolastico è inaccettabile socialmente, nonché antieconomico. L’esito del proprio percorso di studi non può essere determinato in partenza dal migliore capitale culturale famigliare.
Abbiamo in dotazione un sistema d’istruzione cresciuto lungo un percorso fatto di mille frammenti di riforma dall’alto e di spinte all’autoriforma dal basso. Occorre ridare forma a questa strana chimera istituzionale. Il nostro vuole essere un contributo per cucire in una visione di respiro ampio tante pezze di diversa foggia e colore. Si percepisce viaggiando dentro il mondo dell’istruzione come questa sia oggi un’assoluta necessità. Nelle aule e alle porte della scuola quest’attesa si vive anche con rabbia, ma sempre con grande disponibilità a innovare. La seconda inerzia da vincere è che è netta la sensazione che un’istituzione generatrice dei necessari mutamenti strutturali della società contemporanea, sia stata per troppo tempo ai margini dell’interesse sostanziale della politica. Cucire finalmente un abito alla scuola e vincere le inerzie e gli arcaismi dei tanti conservatori con una proposta innovativa e qualificante, sono gli obiettivi cui il sistema Confindustria vuole contribuire.
Con la “Buona scuola” il Governo ha presentato dopo molti anni una proposta che ha molti contenuti innovativi. È un’appassionante base di discussione. In questo percorso di cambiamento che il mondo dell’educazione si accinge a cominciare, la voce delle imprese deve essere ascoltata.